Un disturbo del controllo sfinterico: l’enuresi

Da un punto di vista clinico viene definita “enuresi funzionale” una emissione di urine ripetute nei vestiti o nel letto involontariamente o intenzionalmente. L’episodio deve avere una frequenza di 2 volte a settimana per almeno 3 mesi consecutivi, una grave implicazione clinica ed una compromissione sociale e scolastica considerevole. Il bambino deve avere raggiunto i 5 anni di vita.

Si distingue una enuresi primaria, nella quale il bambino non ha mai raggiunto la continenza e una secondaria, in cui c’è un periodo di continenza precedente di almeno 1 anno. Si distinguono diversi sottotipi:

1) Solo notturna, in cui la perdita di urine si verifica solo di notte durante il                 sonno.

         2) Solo diurna, nella quale la perdita di urine si verifica di giorno.

         3) Notturna e diurna.

Circa il 75-80% dei bambini soffre di enuresi primaria. Si presenta più frequentemente nei bambini che hanno subito stress psicosociali e che vivono in condizioni precarie. Un funzionamento familiare disturbato, problemi coniugali, genitori alcolizzati, ospedalizzazioni e lutti sono generalmente associati ad enuresi nei componenti minori.

In seguito ai molteplici studi eseguiti, ma nessuno determinante come causa primaria, è stato supposto che l’enuresi sia l’espressione di un ritardo di maturazione nello sviluppo della continenza urinaria. A sostegno di ciò registriamo le seguenti osservazioni:

         a) ridotta capacità funzionale della vescica nei bambini enuretici;

         b) frequenza ed urgenza della minzione;

         c) predisposizione ereditaria;

         d) drastica riduzione dell’enuresi con la maturazione.

Tra i fattori ambientali che giocano un ruolo fondamentale nel compromettere il controllo maturativo si annoverano le risposte emotive, il contesto familiare in cui vive il bambino e l’efficacia di metodo del controllo sfinterico fornita dai genitori. Quest’ultimo aspetto può essere compromesso quando, ad esempio, c’è un addestramento troppo anticipato (entro il primo anno di vita), oppure se si ha la mancanza di un rinforzo positivo per il comportamento appropriato o, infine, se si mettono in atto atteggiamenti punitivi in seguito ad incontinenza. Se l’addestramento avviene nel periodo ottimale rispetto alla maturazione il tempo impiegato per avere risultati positivi è minore; invece, se è molto posticipato si assiste ad un aumento della percentuale di enuresi.

La diagnosi differenziale va posta con le stenosi valvolari, con le infezioni delle vie urinarie, il diabete, i consumi anomali di liquidi la sera.

Escluse le cause organiche può essere fatta chiara diagnosi e i genitori vanno edotti sulla complessità della patologia, ma anche sulla sua possibile risoluzione.

La scelta terapeutica parte ovviamente dalla gravità del sintomo, ma generalmente si propende per iniziare una terapia intorno ai 6-7 anni.

Il contratto terapeutico prevede il coinvolgimento attivo del bambino e dei familiari.

Il percorso terapeutico va individualizzato per forma, età, condizioni socio-economiche, culturali e familiari, perché si scatenano delle dinamiche di gruppo e personali che hanno un riflesso sull’intero processo.

Gli interventi farmacologici con imipramina o desmopressina non vengono facilmente consigliati. In genere all’iniziale miglioramento fa seguito la ricaduta alla sospensione del farmaco con effetti molto negativi sul bambino e sui genitori, oltre al fatto che i dosaggi in riferimento all’età possono dare effetti collaterali non indifferenti.

Il trattamento comportamentale rimane sempre l’approcccio terapeutico elettivo sia per la sua innocuità che per i risultati positivi e risolutivi che è in grado di fornire. La presa in carico del bambino e dei genitori richiede un primo intervento immediato legato al “senso di colpa” che spesso si genera nel bimbo, perché il sintomo enuretico può, in genere, innescare una spirale di intolleranza e frustrazione nei familiari, i quali tendono ad avere la sensazione che tutto dipenda dalla mancata volontà del soggetto colpito, sviluppando così reazioni punitive. Interrompere questa spirale è il primo obiettivo dello sviluppo di un’alleanza terapeutica. Va poi spiegato al bambino che il disturbo è legato ad una disfunzione della maturazione neurologica della vescica. Solo allora si può cominciare a lavorare sul senso di responsabilità del bimbo.

Si avvia un intervento basato sull’educazione vescicale con esercizi di contrazione e distensione della vescica, riduzione dell’introduzione dei liquidi prima di dormire, urinare prima di mettersi a letto, alzarsi dopo 2 ore e urinare magari con l’accompagnamento della madre, che sveglia il piccolo e lo porta a svuotare la vescica. Gli esercizi sulla minzione comprendono tutta una serie di varianti che il terapeuta farà eseguire prima in sua presenza e delegando dopo uno dei familiari con il bambino per portare a buon fine il compito. Tecniche di gratificazione decise dal terapeuta per l’ulteriore benessere del bambino aiuteranno quest’ultimo a migliorare la sua autostima.

L’intervento sul nucleo familiare è fondamentale. Bisogna mettere in discussione e modificare gli atteggiamenti relazionali ed educativi distorti, interrompendo un circolo vizioso che spesso si instaura per una incapacità educazionale dell’adulto e per un’interpretazione distorta del sintomo, ma che conducono ad una destabilizzazione emotiva del sistema e ad una autoperpetuazione del sintomo.

Il superamento del sintomo è, in genere, accompagnato da un miglioramento di altri aspetti maturativi e relazionali con un incremento del senso di responsabilità e dell’autostima del piccolo paziente.

                                                        Giacoma Cultrera

L’immagine di copertina è stata tratta da unsplash.

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