Quando la Fobia Scolare è un disturbo che va curato seriamente nell’adolescente?

Durante il periodo adolescenziale i ragazzi si cominciano ad allontanare dai genitori per una fisiologica esigenza di enucleare e definire meglio il senso del Sé ideale e somatico. L’ambiente scolastico in tal senso può costituire un’ottima palestra della mente, poiché rappresenta una fonte di crescita culturale e personologica, oltre che un ottimo contesto di tessitura di un nuovo network relazionale. Da un altro punto di vista per soggetti che hanno già in nuce dei disagi, che si sono  manifestati più lievemente nella fanciullezza, ma mai veramente risolti, allora i problemi di fobia rappresentano un elemento di detonazione di tutti quei fattori rimasti apparentemente sopiti o mascherati e che ora giungono al capolinea perché la scuola superiore di secondo grado per la complessità teorica e relazionale che presenta crea un disagio profondo fino alla manifestazione di una vera e propria “fobia della scuola”. Il termine indica uno stato di ansia diffusa con una paura incontrollata e potendo essere accompagnata anche da cefalee molto forti e invalidanti il conseguente comportamento  dell’adolescente si traduce nel rifiuto di andare a scuola. Tutto questo è accompagnato da sintomi organici evidenti sul piano fisiologico come tachicardia, nausea, vomito, vertigini, tremori, dolori al torace, dolori alle spalle, diarrea, disturbi del sonno con incubi, dolori addominali; mentre sul piano comportamentale ed emotivo prevarranno le somatizzazioni e le condotte di evitamento.

L’età di esordio, come ho accennato prima, è intorno ai 5/6 anni, quando i bambini mostrano una fobia sociale di tipo generalizzato con una compromissione dell’adattamento piuttosto marcata e in genere legata ad un’ansia di separazione dai genitori.

Nell’adolescente la scuola non è solo luogo di apprendimento con le connesse difficoltà, ma anche contesto di socializzazione, per cui molto facilmente emerge il timore di essere rifiutati e di avere un rendimento al di sotto delle valutazioni attese dal soggetto. A quel punto tendono a non volere andare a scuola per i malesseri che avvertono. Tuttavia saltare le lezioni è un errore notevole, perché aiuta a rinforzare le assenze successive e questo un bravo terapeuta non deve farlo avvenire. In questo modo, infatti, si incrementa nell’adolescente la paura di rientrare a scuola per l’ansia di dovere giustificare la propria assenza, in quanto quel comportamento può attivare un giudizio negativo nei compagni e negli insegnanti e si insinua  il timore di non riuscire a recuperare il tempo perduto nelle lezioni e per le verifiche.

Abbiamo detto che le prime manifestazioni si hanno nell’infanzia e nella fanciullezza, ma è nell’adolescenza che la”fobia” diventa molto grave, in quanto il soggetto decide di chiudersi in casa e non avere rapporti con il mondo esterno perché lo sente come pericoloso, oppure sente che il mondo esterno attiva alti livelli funzionali che non regge e non esce per non entrare in contatto con la sua componente aggressiva, altre volte sessuale e non sa come gestirla. Può arrivare a non mangiare più con i genitori, a volte a non salutarli, e poi ad invertire il ritmo sonno-veglia, per cui dorme di giorno per non avvertire quelle cose che gli provocano angoscia e nella solitudine della notte diventa iperattivo/a spesso seguendo canali sbagliati. A questo punto intervengono alterazioni biologiche, come quello del ciclo della melatonina e di altri neurormoni che giungono ad aggravare il quadro clinico complesso, che scifta sempre più verso la patologia più grave. Le strutture pubbliche spesso somministrano grandi quantità di questionari, ma colgono meno l’adeguata strutturazione di un processo terapeutico integrato. Bisognerebbe distinguere bene e proseguire con le adeguate terapie, poiché se l’adolescente avverte il proprio corpo frammentato si rifugerà nella depressione, se, invece, la frammentazione riguarda il pensiero e anche il comportamento allora slittiamo sul piano ben più grave del funzionamento psicotico della mente.

L’insorgenza di questi disagi li riscontriamo più facilmente in certi vissuti come ad esempio:

  1. In eventi di vita stressanti come malattie, lutti e separazioni;
  2. Dove ci sono conflitti genitoriali irrisolti che possono avere investito l’ambito scolastico;
  3. Da difficoltà relazionali con i coetanei e gli insegnanti, ad esempio episodi di bullismo subiti, litigi con qualche insegnante; o immaginari del fanciullo di non piacere o di non essere all’altezza;
  4. Da ansia da prestazione e paura di non essere all’altezza.

La terapia cognitivo-comportamentale ha permesso di ottenere dei risultati più facilmente e in tempi più brevi nei bambini, l’approccio è sempre molto valido anche nei casi ben più complessi degli adolescenti. Importante é la maturità del terapeuta di reggere un setting difficile, dove deve  lavorare contemporaneamente sull’adolescente, sulla coppia genitoriale, coinvolgendo eventuali fratelli adulti se ci sono perché hanno la loro influenza sul paziente e la classe insegnante.

La prima fase è la più semplice e prevede attraverso l’ausilio di tecniche comportamentali di desensibilizzazione la realizzazione di step graduali, i cui  tempi e modalità di ritorno a scuola, si concordano con gli insegnanti ed il personale scolastico. L’efficacia della terapia a cui tutti devono collaborarare con ruoli diversi è stata dimostrata in termini di riduzione dell’ansia, aumento del senso di autoefficacia personale e ripresa della frequenza scolastica.

L’analisi introspettiva è molto più complessa perché per comprendere il processo dell’ansia, bisogna identificare i pensieri disfunzionali, le incompletezze e i danni presenti nel senso del Sé, la ricostruzione storica anche se parziale di ciò che è avvenuto con le figure di attaccamento, insomma la ricostruzione attenta dello storico della vita sino ad allora vissuta per ritrovare e in qualche modo cicatrizzare quegli episodi che ne hanno intaccato la funzionalità del pensiero soprattutto quando cominciamo a slittare sul livello psicotico, che rappresenta l’evoluzione più grave del quadro clinico.

                                                                                          Giacoma Cultrera

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