Psicofisiologia e Cardiologia Psicosomatica
Ricerca su etiopatogenesi e terapie delle affezioni cardiologiche
La Psicofisiologia, secondo una definizione di Andreassi, costituisce “lo studio delle relazioni tra manipolazioni di variabili psicologiche e le conseguenti risposte fisiologiche, misurate nell’individuo vivente allo scopo di promuovere la chiarificazione delle relazioni tra processi mentali e funzioni somatiche”. In patologie come le coronaropatie, l’infarto del miocardio, la morte cardiaca improvvisa, l’ipertensione essenziale, gli studi di Medicina Psicosomatica hanno sottolineato come lo stress possa costituire un co-fattore di rischio significativo che si affianca e si sovrappone a quelli di tipo epidemiologico oramai noti, quali la dieta, il fumo, gli alti livelli di colesterolo, la familiarità, la sedentarietà.
Friedman e Rosenman (1969) osservarono nei pazienti cardiologici due differenti comportamenti in relazione agli eventi stressanti della vita quotidiana. Descrissero un pattern di personalità di tipo A, caratterizzato dalla presenza di elevata tensione, bisogno di controllo sull’ambiente, aggressività repressa, elevata competitività, impazienza, ipervigilanza, senso di urgenza del tempo, irritabilità, incapacità a rilassarsi, elevato coinvolgimento lavorativo; distinguendolo da un pattern di tipo B, in cui i soggetti si presentavano più rilassati e riflessivi pur perseguendo l’obiettivo di progredire nella vita e nella carriera lavorativa.
Studi retrospettivi e prospettivi hanno dimostrato un aumento del rischio di cardiopatia ischemica doppio nei soggetti con pattern di tipo A rispetto ai soggetti con pattern di tipo B. I pazienti di tipo A non riescono ad evitare lo stress nocivo e vanno incontro ad un rischio maggiore di helpessnes, perché vivono qualsiasi perdita in modo minaccioso e perturbante. Presentano anche maggiori livelli di ACTH e catecolamine, elevata aggregabilità piastrinica, alti livelli di colesterolo e trigliceridi e alterazioni elettrocardiografiche in condizioni di stress.
Studi controllati hanno dimostrato come situazioni di stress cronico di lavoro e accumulo di eventi esistenziali stressanti si associno a livelli pressori significativamente più elevati rispetto a soggetti di controllo omogenei. Si ritiene che siano le condizioni di stress emozionale cronico a costituire un fattore di rischio per lo sviluppo dell’ipertensione accanto a particolari tratti di personalità, soprattutto quelle che tendono a sopprimere le reazioni aggressive ed ostili verso l’ambiente e che si associano ad una ridotta capacità di esprimere le emozioni sul piano comportamentale.
Un argomento riguardo al quale la psicofisiologia ha fornito un importante contributo è la concettualizzazione e la spiegazione della fenomenologia emotiva. Questa impostazione attribuisce allo stimolo il significato di “informazione” ed alla risposta quello di risultato finale di una complessa valutazione cognitiva.
Tale concezione sottolinea come l’attivazione degli effettori viscerali non è una conseguenza diretta della stimolazione ambientale, bensì è effetto di un’elaborazione sul contenuto informativo della situazione-stimolo. La registrazione del bio-segnale relativo alla funzione o apparato interessato dalla malattia è di grande utilità sia in fase di assessment che in quella terapeutica per la possibilità di apprendere con metodiche come il biofeedback il progressivo controllo del parametro disfunzionale.
La frequenza cardiaca è un parametro facilmente monitorabile utilizzando sistemi foto-ottici, che, applicati a un dito della mano, registrano le singole onde sfigmiche sistoliche. Un integratore ed un display visivo e/o acustico completano l’apparecchiatura. È stato esplorato con buon successo il controllo della frequenza cardiaca in pazienti cardiopatici con insufficienza coronarica cronica dimostrata elettrocardiograficamente. Si è visto che all’interno di setting psicoterapici strutturati con l’ausilio del biofeedback della frequenza cardiaca i pazienti riescono in un tempo determinato a raggiungere l’obiettivo, rappresentato dalla normalizzazione di questa e dalla parziale eliminazione di farmaci anche di tipo cardiaco.
L’addestramento al controllo volontario della pressione sistolica e diastolica ricorre all’utilizzo di un’apparecchiatura sofisticata e precisa, che misura la velocità dell’onda sfigmica che attraversa l’arteria brachiale mediante sensori che rilevano la pulsazione a livello brachiale e radiale. Il metodo si basa sulla considerazione che tale velocità è inversamente proporzionale alla distensibilità delle arterie ed alla pressione arteriosa media. Il feedback viene dato da un segnale proporzionale al tempo che intercorre tra il rilevamento di un’onda R sull’elettrocardiogramma e la prima comparsa di un’onda sfigmica al polso radiale. In questo modo il soggetto riceve un’informazione continua attraverso l’accensione di leds su una barra colorata o attraverso un suono, oltre al valore digitale circa la sua pressione in ogni istante. Di conseguenza, maggiore è la velocità dell’onda sfigmica maggiore è la pressione sanguigna.
L’obiettivo che si cerca di perseguire è quello di far apprendere all’uomo la possibilità di regolare e controllare funzioni biologiche che normalmente non sono sottoposte a controllo volontario, perché regolate automaticamente a livello sottocorticale, o che lo sono in misura relativa o che non lo sono a causa di una condizione morbosa.
Il biofeedback viene spesso utilizzato in un contesto psicoterapico cognitivo-comportamentale come valido strumento di cambiamento al fine di perseguire una progressiva ristrutturazione del modo di vivere e gestire la fenomenologia emotiva. Affinché una metodica di biofeedback risulti efficace e valida è indispensabile che il setting non risulti condizionato negativamente da problemi tecnici e metodologici.
Obiettivo dell’applicazione di queste metodologie è lo studio del rapporto che passa tra stressor e disfunzione cardiologica in una condizione di procedure standardizzate.
In questi casi oltre allo studio dei patterns psicofisiologici disfunzionali, fondamentale è l’intervento di una fase di terapia del paziente secondo un intervento cognitivo-comportamentale, attraverso la utilizzazione del biofeedback, aiutandolo, in tal modo, ad incrementare le sue capacità di coping innanzi agli stimoli stressanti della vita quotidiana.
Questi interventi ci aiutano ad effettuare un’ampia profilassi presso la popolazione generale attraverso lo studio sistematico di alcuni parametri soprattutto nei soggetti a rischio. Dall’altra parte sviluppare nel soggetto la capacità di autosservarsi sul piano psicologico e psicofisiologico e modificare i patterns di risposta disfunzionali è di grande sostegno alle terapie mediche necessarie e gioca un ruolo fondamentale nella riabilitazione dei soggetti colpiti da patologie cardiache psicosomatiche.
Giacoma Cultrera
L’immagine di copertina è stata tratta da unsplash.