L’organizzazione della vita
E’ ormai convinzione diffusa di molti studiosi che non sia possibile comprendere le basi biologiche della conoscenza solo mediante lo studio del sistema nervoso, per cui sembra sempre più necessario capire come questi processi siano radicati nell’essere vivente considerato nella sua totalità (Maturana H., Varela F.).
Sappiamo che il nostro Sole è solo una delle milioni di stelle che costituiscono quelle strutture multiformi che sono le galassie. La scienza ci insegna che lo spazio interstellare contiene enormi quantità di idrogeno. Le turbolenze che si verificano in queste masse gassose producono sacche di gas ad alta densità. In questa situazione cosmica, però, si stabilisce un equilibrio fra la tendenza alla coesione per l’attrazione gravitazionale e la tendenza all’irraggiamento prodotto da reazioni termonucleari all’interno della stella in formazione. Quando i due processi raggiungono un equilibrio la stella entra nella sua “sequenza principale”, cioè nel suo periodo di vita come stella individuale. Durante questo periodo, la materia che si è condensata viene gradualmente consumata in reazioni termonucleari che hanno una durata di circa 8 miliardi di anni. Quando si è consumata una certa frazione dell’idrogeno, cominciano trasformazioni più drammatiche. Dapprima la stella si trasforma in una gigante rossa, poi in una stella che pulsa e, infine, in una supernova nel corso del quale si formano gli elementi chimici pesanti. La materia che resta collassa in una stella più piccola e di densità molto elevata, detta nana bianca.
Il nostro Sole è più o meno al centro della sua sequenza principale e si spera che continui a irradiare per almeno altri 3 miliardi di anni. Durante questa trasformazione la stella attira nei suoi pressi una nube di materia proveniente dallo spazio interstellare che comincia a girarle intorno e che è energeticamente dipendente dalla sequenza di trasformazioni della stella. La Terra e gli altri pianeti del sistema solare hanno avuto un’origine di questo tipo e, a giudicare dalla loro ricchezza di elementi di peso atomico elevato, devono essere stati catturati dalla supernova. Secondo i geofisici la Terra ha almeno 5 miliardi di anni e una storia di continue trasformazioni (Maturana H., Varela F.).
All’inizio della storia, nella stella c’era fondamentalmente omogeneità molecolare; dopo la formazione dei pianeti, in un continuo processo di trasformazione chimica, si è prodotta una grande varietà di specie molecolari, sia nell’atmosfera che sulla superficie terrestre. In questa complessa e continua storia di trasformazioni è importante per gli scienziati il momento in cui si formarono le molecole costituite da catene di carbonio, cioè le cosiddette “molecole organiche”. La plasticità rivelata dalla famiglia di queste molecole rese possibile reazioni molecolari che producevano lo stesso tipo di molecole che interagivano e limitavano lo spazio in cui queste si realizzavano. Queste reti molecolari che riproducono se stesse e ne determinano i limiti sono le prime forme di vita di esseri viventi. Gli esseri viventi si contraddistinguono perché si producono da soli e l’organizzazione che li definisce è indicata come “organizzazione autopoietica”.
Maturana e Varela vollero sottolineare il fatto che gli esseri viventi sono unità autonome, dei domini cioè capaci di stabilire le proprie leggi e le proprie specificità. Autopoieo deriva dal greco e indica il crearsi (poieo) da se stesso (autos), per cui un sistema autopoietico è definito come una unità dalla sua organizzazione autopoietica. Un’organizzazione autopoietica costituisce un dominio chiuso di relazioni specifiche in riferimento all’organizzazione autopoietica che queste relazioni costituiscono e definisce lo spazio nel quale può essere realizzato come sistema concreto. L’autopoiesi implica la subordinazione di ogni cambiamento del sistema e della fenomenologia del dominio al mantenimento della sua “unità”.
Nell’origine di questi esseri viventi terrestri, solo alcune specie molecolari devono aver posseduto le caratteristiche che permisero di costituire unità autopoietiche, iniziando quel processo strutturale a cui noi stessi apparteniamo. Però fu necessario l’intervento di molecole capaci di formare membrane sufficientemente stabili e plastiche tali da costituire barriere efficaci, ma contemporaneamente dotate di proprietà modificabili per permettere la diffusione di ioni e molecole in tempi lunghi. Si ritiene che le unità autopoietiche furono rese possibili nella storia della Terra, quando si formarono molecole organiche dotate di una plasticità e flessibilità praticamente illimitate come le proteine. Quando nella storia della Terra si realizzarono tutte le condizioni sufficienti, inevitabilmente avvenne la formazione degli organismi autopoietici.
Tale momento secondo molti studiosi può essere considerato come l’origine della vita!
La riproduzione di questi sistemi implica la creazione sia di somiglianze sia di differenze strutturali fra “progenitori”, “figli” e “fratelli”. Fanno parte del carattere ereditario quegli aspetti della struttura iniziale della nuova unità che si ritengono identici a quelli dell’unità originale; viene chiamata “variazione riproduttiva” quell’insieme di aspetti che valutiamo diversi rispetto alla struttura iniziale. Il risultato è che fra gli individui di una discendenza si osservano molte invarianze e aspetti strutturali che cambiano continuamente e non restano costanti per più di una o due generazioni. Per esempio, la modalità di sintesi delle proteine con la partecipazione del DNA è rimasta invariata in molte discendenze, ma il tipo di proteine sintetizzate è molto cambiato durante la loro storia. L’ontogenesi è la storia del cambiamento strutturale di una unità che avviene senza che essa perda la sua organizzazione. L’unità cellulare classifica in ogni istante le sue continue interazioni con l’ambiente in rapporto con la sua struttura, elemento che è in continuo cambiamento a causa della sua dinamica interna. La trasformazione ontogenetica di una unità non cessa fino alla sua disintegrazione.
La costanza e la variazione delle linee evolutive dipendono dai rapporti fra le condizioni storiche in cui esse si realizzano e le proprietà intrinseche degli individui che le costituiscono. Per questo, nella deriva degli esseri viventi, si verificano molte estinzioni e compaiono molte forme sorprendenti. Alcune linee si interrompono perché giunge un momento in cui la diversità riproduttiva che generano non è compatibile con la variazione ambientale e, quindi, termina la conservazione dell’adattamento perché si generano esseri incapaci di riprodursi nell’ambiente in cui si trovano a vivere.
L’evoluzione è una deriva naturale, prodotto dell’invarianza dell’autopoiesi e dell’adattamento. Anche se un sistema ha dei caratteri strutturalmente determinati ciò non significa che esso sia prevedibile.
L’ontogenesi di ogni essere vivente consiste nella sua continua trasformazione strutturale, in un processo che da un lato si realizza in esso senza interruzione della sua identità né del suo accoppiamento strutturale con l’ambiente, dall’inizio fino alla disintegrazione finale, mentre dall’altro lato segue un percorso particolare selezionato nella sua storia di interazioni dalla sequenza di cambiamenti strutturali innescati da tali interazioni.
Tutto ciò accade durante i primi tempi della vita degli esseri umani. Ciò è dimostrato dal caso drammatico di due bambine indù che, nel 1922, in un villaggio bengalese del nord dell’India, furono strappate dal seno di una famiglia di lupi che le aveva allevate in completo isolamento da ogni contatto umano. Le bambine avevano circa 8 anni una e 5 l’altra: la minore morì poco tempo dopo essere stata trovata, mentre la maggiore sopravvisse circa 10 anni con altri orfani. Quando furono trovate non sapevano camminare in stazione eretta e si muovevano con rapidità solo a quattro zampe. Non parlavano e avevano dei visi inespressivi. Volevano mangiare solo carne cruda, avevano abitudini notturne, rifiutavano il contatto umano e preferivano la compagnia di cani e lupi. Erano perfettamente sane, non presentavano segni di idiozia da denutrizione né debolezza mentale. La separazione dalla famiglia dei lupi indusse in loro una profonda depressione tanto che una delle due morì. La bambina che sopravvisse modificò le sue abitudini alimentari e i suoi cicli di attività, imparò a camminare su due piedi anche se ricorreva alla corsa a quattro zampe quando aveva molta fretta. Non giunse mai a parlare chiaramente, anche se imparò ad usare qualche parola. I missionari che vissero intorno a lei non la sentirono mai veramente umana.
Questo caso ci mostra che, sebbene nella loro costituzione genetica fossero umane, queste bambine non giunsero mai ad integrarsi nel contesto umano. I loro comportamenti erano del tutto naturali per la loro infanzia da lupi e per l’imprinting primario che avevano ricevuto.
Giacoma Cultrera