L’ontogenesi ovvero lo sviluppo del comportamento nei bambini
Nei bambini in età preverbale sono state osservate azioni spontanee di saluto e atti marcati di congedo, che non sono assolutamente assimilabili o copiati dagli adulti. Infatti, negli studi condotti anche su popolazioni indigene (Eibl-Eibesfeldt) e confrontati con bambini delle società industrializzate si è visto che gli infanti hanno un comportamento competente già in età preverbale: invitano al contatto (emissioni sonore, spalancare la bocca, atti di abbracciare); invitano al gioco (si mettono ai margini dello spazio, offrono un giocattolo); ottengono gli oggetti dagli altri (portandoli via come sfida; mettendosi in attesa con gesti di richiesta e sorridendo) e allo stesso modo sono capaci di interrompere contatti senza provocarne la rottura (congedandosi): si autoesibiscono (cercando assistenza o concedendo assistenza), puniscono il partner (broncio, volgono lo sguardo, rifiutano gli oggetti offerti), bloccano azioni aggressive con sorrisi, inclinando il capo o abbassandolo, offrendo oggetti), difendono con la minaccia e la lotta (oggetti, propria posizione di rango, proprio spazio individuale), o attaccando (azioni di aggressività esplorativa, azioni di sostegno di un altro etc…).
Se al bambino vengono a mancare le risposte “attese”, ciò può indurre effetti patologici. Madri che evitano il contatto di sguardi con il proprio lattante possono danneggiarli con questo comportamento. Infatti, bambini particolarmente sensibili possono sospendere del tutto le iniziative sociali dopo vari tentativi di realizzare un contatto (Massie). E’ anche probabile che alcuni casi, ma non tutti, di autismo abbiano questa origine.
Dobbiamo essere consapevoli del fatto che esiste un programma di sviluppo prestabilito filogeneticamente e anche gli influssi ambientali ne fanno parte. Una domanda che i ricercatori si pongono è in che misura essi regolano l’ontogenesi, la quale rappresenta sicuramente un sistema aperto, quindi poiché è predisposta a questo trae informazioni dall’ambiente molto rapidamente. Per l’apprendimento del linguaggio c’è una fase in cui viene imparato con grande facilità e che termina con la pubertà. Circa lo sviluppo delle capacità cognitive i ricercatori hanno formulato diverse ipotesi, da cui sono derivate delle correnti di pensiero note come empirismo, innatismo, costruttivismo.
La teoria che condividiamo è quella costruttivista di J. Piaget, il quale ipotizza che il bambino costruisca attivamente conoscenze e skills attraverso capacità innate di acquisizione di informazioni e lo faccia interagendo con l’ambiente circostante, basandosi su pochi schemi già esistenti. Piaget sottolinea il ruolo attivo del bambino, il quale costruisce intorno a sé un mondo di oggetti che già esiste in uno spazio tridimensionale ed è collegato da nessi causali e temporali (Watzlawick). Secondo Piaget attraverso l’integrazione degli elementi di base si generano di continuo nuove proprietà del sistema, elemento che determina una sequenza degli stadi di sviluppo. Ogni nuova prestazione viene costruita su capacità e abilità formatesi in precedenza e le presuppone. A partire dalla propria percezione, dopo il bambino costruisce rappresentazioni interiori del proprio agire mirate a uno scopo. Questi schemi vengono poi ampliati e collegati fra loro nel corso dello sviluppo e ciò dà luogo a nuove capacità cognitive.
Ritornando agli studi di etologia tra le predisposizioni ad apprendere, che costituiscono adattamenti filogenetici, c’è l’istinto ad esplorare. In degli esperimenti si è visto che se avviciniamo a un neonato di 3 mesi un oggetto in movimento con sonaglini, ciò scatena in lui un vivace interesse che decade dopo 1 minuto; se, invece, gli avviciniamo l’oggetto in modo che lui può provocare il suono spontaneamente allora esplora a lungo e attentamente, esprimendo con i vocalizzi un intenso interesse. L’esplorazione, quindi, è giocosa! Ricordiamo che solo i mammiferi giocano: si tratta, dunque, di animali che acquistano molte delle loro capacità tramite processi di apprendimento.
Nel gioco i moduli comportamentali si alternano, non ci sono impellenti bisogni fisiologici e si svincolano le azioni dagli istinti, per cui comportamenti appartenenti a istinti che nella lotta seria si escludono a vicenda come quelli relativi alla cattura, alla sfera sessuale o alla caccia, con il gioco, invece, si sperimentano degli istinti con libertà, cioè prendendo le distanze dagli stati emozionali e allenando le azioni in maniera distaccata in uno spazio libero creato dal soggetto.
All’età di 3 anni i bambini si uniscono al gruppo di gioco dei più grandi e in tale gruppo ricevono una vera e propria educazione. Agli adulti manca lo slancio emotivo tipico del bambino che si pone come modello di gioco o vi partecipa. Con l’assenza dei bambini più grandi di età prepuberale i piccoli tendono a perdere i loro più stimolanti partner di gioco e di socializzazione all’esterno del nucleo familiare.
In seguito a ciò si viene a perdere la cultura dei bambini, che, come abbiamo già visto, non può e non viene trasmessa dagli adulti.
Interessante. Secondo me si arricchirebbe di più con citazioni di filosofi e psicologi, da Hegel a Piaget.