L’Imprinting

Nel linguaggio comune in genere impieghiamo il termine abitudine non solo per indicare il processo attraverso cui ci abituiamo a uno stimolo inizialmente fastidioso, ma anche quando una determinata situazione-stimolo o un certo comportamento ripetuti tante volte ci sono divenuti addirittura insostituibili.

Il significato dell’abitudine in rapporto alla conservazione della specie si manifesta nel modo più chiaro nell’evoluzione ontogenetica di alcuni animali. In base agli studi condotti da Lorenz su un’oca cenerina appena uscita dall’uovo si accorse che reagiva seguendo ogni oggetto in movimento che rispondesse al suo “fischio di abbandono”, emettendo suoni ritmici su un registro medio di voce.

Questa fissazione “irreversibile” di una pulsione sul suo oggetto Lorenz la denominò imprinting. Una piccola oca in grado di zampettare, il cui comportamento abbia già subito un imprinting sulle oche, può ancora essere facilmente spostata su un’altra famiglia di oche. Però, dopo aver seguito per due giorni i propri genitori, essa sarà in grado di riconoscerli con sicurezza e lo farà prima dalla voce che dalla fisionomia.

Da un punto di vista fisiologico l’associazione indissolubile tra lo schema comportamentale e il suo oggetto si stabilisce in un momento in cui esso non è ancora in grado di attivarsi.

Il periodo critico di disponibilità all’ imprinting  si pone molto presto nell’ontogenesi dell’individuo e in alcuni casi si limita a poche ore o, comunque, è sempre manifestato entro limiti di tempo molto rigidi. La determinazione dell’oggetto una volta che si è compiuta non è reversibile. Lorenz dimostrò che animali che avevano avuto un imprinting sessuale su altre specie rimangono per sempre, inguaribilmente dei “pervertiti”.

La maggior parte dei processi di imprinting a noi noti si riferisce a modelli di comportamenti sociali. L’imprinting può avvenire anche sull’uomo. Ad esempio nell’oca cenerina le reazioni infantili del seguire e altri comportamenti sociali possono avere facilmente per oggetto l’uomo senza, però, che si crei un imprinting sessuale.

L’imprinting si collega attraverso altri passaggi con altri processi dell’apprendimento associativo.

Anche l’imprinting è associato a processi percettivi complessi e l’apprendimento lo inserisce in un meccanismo scatenante innato. Quest’ultimo viene reso ancora più selettivo dall’imprinting stesso. Una delle caratteristiche interessanti quanto misteriosa dell’imprinting consiste nel produrre una notevole astrazione nel percepire la combinazione di stimoli che lo scatenano.

Non è chiaro se l’imprinting possa essere considerato un riflesso condizionato secondo l’accezione di I.P. Pavlov. Contro questa ipotesi vale una circostanza tipica: sappiamo che l’oggetto che provoca l’imprinting agisce come tale in un lasso di tempo rigidamente determinato, in cui l’animale non ha ancora mai fatto uso, neanche  minimamente, del modulo comportamentale relativo all’oggetto stesso.

Nella sua irreversibilità e nel suo legame con fasi strettamente delimitate dall’ontogenesi, l’imprinting porta in modo più evidente di tutti gli altri processi di apprendimento il marchio dell’induzione.

Gli studi sperimentali di tipo etologico sono di fondamentale importanza soprattutto per la comprensione della complessità evolutiva onto e filogenetica dell’uomo.

L’imprinting ha rappresentato il primo passo per comprendere alcuni patterns fondamentali nella vita dell’homo sapiens sapiens. Questi studi validi anche per l’uomo si intrecceranno con quelli sui modelli di attaccamento che J. Bowlby ha condotto dopo e di cui parleremo estesamente in un altro articolo.

                                                          Giacoma Cultrera

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