L’atteggiamento psicologico innanzi alla guerra e alla vita militare

Da un punto di vista antropologico è risaputo che ci sono state e persistono tutt’ora delle civiltà basate nella loro struttura sull’idea della guerra e in tal senso concepite non solo per rispondere alle necessità che la guerra crea, ma anche al fine di perpetuarla.

In passato il comportamento dei soldati in guerra era fortemente influenzato da elevati valori etici e morali e le figure di riferimento che venivano poste loro innanzi erano quelle di eroi, che sacrificavano la loro vita per nobili principi.

I progressi compiuti nelle indagini psicometriche e psicopatologiche negli ultimi vent’anni hanno fatto in modo che anche in ambito militare abbia prevalso un atteggiamento più pragmatico, finalizzato ad una valutazione più attenta della funzione psichica. 

Nel nostro secolo si è assistito a un drammatico aumento dei disturbi psichiatrici diagnosticati tra i combattenti e i veterani.

Lo scopo più ambizioso è l’individuazione dei “soggetti a rischio”, cioè di quegli individui che per una particolare predisposizione potrebbero sviluppare o durante il servizio militare o in occasione di guerra dei comportamenti psicopatologici tali da renderli inidonei.

Purtroppo, questa modalità di procedere può essere realisticamente adottata solo su campioni ristretti di individui e richiede un grosso dispendio di personale. In genere lo screening che viene effettuato nei 3 giorni di valutazione è troppo superficiale e non permette di individuare gli elementi più fragili psichicamente.

La valutazione del profilo psichico con il Minnesota Multifasic Personality Inventory ha un ottimo ruolo centrale nell’attribuzione dell’idoneità o nell’invio per ulteriori accertamenti presso i reparti ospedalieri.

Ad esempio, il riscontro anamnestico di un pregresso uso di sostanze psicoattive in soggetto con struttura di personalità in atto armonica viene giudicato instabile, così come la presenza di modesti e incostanti sintomi psichici può rendere più difficile l’adattamento a situazioni nuove e potenzialmente stressanti.

Tra i disturbi psicopatologici di più frequente riscontro nelle situazioni militari c’è il Disturbo Post-traumatico da Stress.

Esso rappresenta l’esito di un evento o di una situazione estremamente pericolosa o fatale, che supera i limiti della comune esperienza umana. Tra queste le esposizioni agli stressor piuttosto prolungate, che si verificano nel corso di una guerra, sono tra le esperienze umane più gravi.

I traumi fisici e psichici in battaglia sono abbastanza comuni, tuttavia, i suoi esiti e i suoi effetti sono spesso sottovalutati o addirittura non individuati, per cui coloro che li hanno esperiti rimangono spesso ignari delle cause profonde che li attanagliano e sviluppano disturbi psichiatrici molto severi.

Altra aggravante è rappresentata dalla sofisticazione tecnologica che, oggi, le armi hanno raggiunto e che esigono una concentrazione psicofisica continua e prolungata nel tempo.

Nella sua forma acuta la sintomatologia si sviluppa nell’arco di 6 mesi e poi tende a regredire nei successivi. Questi casi sono prognosticamente meno positivi, poiché i soggetti rischiano di sviluppare un Disturbo della Personalità molto grave. Il disturbo tende a risentire positivamente degli approcci integrati, nei quali l’uso di psicofarmaci si intreccia con l’intervento psicoterapico. Le psicoterapie a indirizzo cognitivo tendono ad avere dei risultati molto interessanti.

La prevenzione, comunque, rappresenta l’intervento primario, individuando quei soggetti, che sottoposti a stress continuati come quelli di guerra possono risentirne eccessivamente sul piano psichico.

La sintomatologia che sviluppano in seguito a stress da combattimento oscilla notevolmente dalla manifestazione psicosomatica, alla nevrosi o ancora a sindromi ansioso-depressive, arrivando anche al suicidio o all’omicidio in fasi di acting out.

Nella storia gli eserciti hanno rappresentato luoghi di diffusione di droghe. Ciò è avvenuto sia perché in condizioni di guerra è stato tollerato l’uso di sostanze stimolanti e di narcotici o addirittura incoraggiato. La diffusione del consumo di sostanze con la tendenza all’abuso è un dato che si rileva nella vita militare e si ritiene che uno dei motivi sia la vita comunitaria che si svolge quando si espleta il servizio militare. La dipendenza fisica e psichica con l’esigenza continua di fare uso di sostanze per reggere lo stress in realtà implica lo sviluppo di comportamenti abnormi e pericolosi per l’individuo e la collettività. Le sostanze più utilizzate sono rappresentate dai cannabinoidi, dalle sostanze stimolanti e dagli oppiacei.

La risposta dell’individuo allo stress prevede la necessità della capacità del soggetto di mobilitare tutte le sue energie fisiche e psichiche, che hanno lo scopo di favorire l’adattamento al nuovo ambiente. Tuttavia, molti giovani militari sviluppano proprio un Disturbo dell’adattamento: si ritiene che in questo caso l’eziologia sia multifattoriale, in parte legata a fattori intrinseci dell’individuo ed alla sua personalità fragile e a fattori di tipo sociale. L’insorgenza di questo disturbo è piuttosto precoce con lamentele fisiche, come gastralgie, colon irritabile, vertigini, tachicardie, episodi ipotensivi, crisi dispnoiche del tipo asmatico che si manifestano improvvisamente senza alcun preavviso.

Altre patologie che si possono sviluppare sono il Disturbo Psicotico Breve, il Suicidio e la tendenza alla Simulazione e allo sviluppo di Disturbi Fittizi.

In tutto ciò fondamentale è il ruolo dello psichiatra militare che non si deve limitare alla valutazione delle condizioni psichiche del soggetto, ma deve prevedere l’impatto che l’apparato militare può avere sull’esaminato.

Egli, infatti, rappresenta una figura cardine che si colloca sul limite tra le esigenze di efficienza dell’istituzione e le debolezze riconosciute o negate dell’individuo. Spesso il clinico in questa situazione all’interno dell’istituzione si ritrova “solo” nel far fronte al disagio e ai bisogni dell’apparato militare più che quelli del soldato. Purtroppo, il rapporto tra esaminatore e soldato è per sua natura rigido e il sottoposto tende ad adottare un atteggiamento di difesa e non di apertura con l’emissione di comportamenti difensivi ambigui.

                                              Giacoma Cultrera

L’immagine di copertina è stata tratta da unsplash.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *