Il disturbo schizofrenico parte III
Abbiamo detto che l’essere umano è un elaboratore di informazioni e che l’adattamento consiste nel progressivo modellarsi di un sistema sulle pressioni ambientali. L’esperienza umana si origina e prende forma a partire dalla praxis del nostro sentirci vivere. Qualsiasi conoscenza è il risultato di un’interpretazione: un essere umano non può mai prescindere dal proprio punto di vista.
Tutto ciò che abbiamo spiegato in riferimento allo sviluppo ontologico del soggetto con i vari livelli di passaggio sul piano cognitivo viene a decadere e diventa estremamente più complesso nella patologia della schizofrenia. In questa patologia il percorso evolutivo è stato disturbato a tutti i vari livelli di sviluppo.
Come sottolinea Maturana (1986) a livello dell’esperienza immediata non è possibile distinguere fra percezione e illusione, così che, ad esempio, il senso perturbante di aver percepito per un istante un fantasma è per il soggetto che la sta esperendo una sensazione irrefutabile; solo slittando gradualmente tramite il linguaggio a livello meta-esperenziale di coordinamento intersoggettivo di pensieri e azioni, il soggetto può arrivare a spiegarsi la sua esperienza immediata in termini, ad esempio, di giochi di luce e ombra, riuscendo in questo modo a trasformarla e ad assimilarla nella continuità con cui avverte la sua prassi del vivere. È molto difficile sviluppare in soggetti schizofrenici un certo livello di autosservazione e una meta-cognizione adeguata che gli permetta di staccarsi dall’immediatezza dell’esperienza e “spiegare” la realtà che “esperisce” (Guidano). La conoscenza dipende dal continuo svolgimento di un processo circolare nel quale esperienza immediata e globale di sé e del mondo vengono riordinate e strutturate, attraverso le abilità logico-formali, in proposizioni esplicite distribuite nell’adeguata impalcatura concettuale.
Ristrutturare in termini esplicito-coscienti queste contraddizioni tra l’esperire e lo spiegare nel soggetto schizofrenico rende possibili livelli di astrazione senza precedenti e sarà solo così che egli potrà trasformare la continua modulazione di stati interni in pattern di conoscenza di sé. Costruire con il soggetto quelle categorie cognitive che sono intaccate e spezzate significa avviarlo sull’iter di svolgimento di una processualità che colma molte delle lacune presenti.
La dinamica Io/Me è alla base di un sistema conoscitivo in equilibrio e, di conseguenza, il dispiegarsi progressivo dei processi di significato personale vincola la direzionalità generativa del ciclo individuale in modo più adeguato. L’esperire e lo spiegare sono dimensioni irriducibili della conoscenza, che si basa su un processo di circolarità senza fine tra l’esperienza immediata e il senso di Sé più astratto.
Il divenire temporale di un sistema conoscitivo individuale va considerato come un sistema che si autorganizza, il quale solo strutturando lo sviluppo di capacità cognitive di ordine superiore può arrivare a costruire un senso pieno di identità personale. Non dimentichiamo che la complessità interna è un processo discontinuo con ampi margini di imprevedibilità, che si svolge attraverso salti di livello. Tutto questo è coartato e da sviluppare progressivamente attraverso la psicoterapia nel soggetto che soffre di schizofrenia.
Secondo queste interpretazioni (Guidano) la normalità coincide con il dispiegarsi di un processo dinamico, cioè che possiede quella flessibilità e generatività con cui articola la sua coerenza sistemica lungo l’intero ciclo di vita e a livelli sempre più integrati di complessità organizzata e ordine strutturale che essa, in questo modo, è in grado di raggiungere.
Il termine psicotico si riferisce come scrive Guidano “ a modalità strutturali di elaborazione della conoscenza, il cui mantenimento della coerenza è portato avanti con una flessibilità e generatività estremamente ridotte: un atteggiamento delirante, per esempio, non è tale perché il suo contenuto di pensiero non è – aderente alla realtà – ma, piuttosto, perché questo contenuto di pensiero appare più difficilmente integrabile con altri contenuti e, quindi, meno suscettibile di poter essere trasformato dall’esperienza in corso”. Seguendo una metodica sistemico-processuale la schizofrenia corrisponderebbe ad una dimensione di elaborazione della coerenza di un’organizzazione di significato personale dinamica e mutevole e, di conseguenza, potenzialmente reversibile poiché i loro confini sono spesso indistinti. Quindi l’organizzazione di significato personale slitta verso la psicosi, quando al limite rappresentato da un’elaborazione troppo concreta delle informazioni si viene ad aggiungere un’interferenza più o meno intensa delle capacità autointegranti del Sé.
Sappiamo bene che nella schizofrenia la notevole eterogeneità delle caratteristiche cliniche ha da sempre impedito la formulazione di un’ipotesi patogenetica unitaria attendibile. L’osservazione clinica e longitudinale delle manifestazioni della schizofrenia ci insegnano che spesso ad un esordio turbolento con deliri tra l’adolescenza e la giovinezza segue una stabilizzazione, nella quale a remissione avvenuta possono comparire disturbi emotivi di tipo ossessivo-compulsivo, che esistevano in modo più o meno intenso prima della comparsa dell’episodio delirante. È molto probabile che la cronicità della schizofrenia sia un artefatto prodotto da variabili differenti, quali quelli iatrogeni, nosocomiali, dinamiche sociali di rifiuto che si scatenano di fronte alla diversità.
Sembra legittimo, quindi, che un terapeuta impegnato in un recupero così complesso sia scevro da pregiudizi e comprenda che quando parliamo di schizofrenia ci riferiamo a delle caratteristiche cliniche descrittive che corrispondono fondamentalmente a episodi acuti di mancata integrazione tra i contorni del sé. Questa visione ci aiuta a lavorare con un criterio costruttivo in una patologia delicata come questa, ma ponendola sull’asse di continuità longitudinale che parte dalla normalità attraversa i differenti tipi di organizzazione della conoscenza fino alla disorganizzazione più critica: la schizofrenia. Così lavorando, però, vediamo la luce in fondo al tunnel e la possibilità di miglioramento e di ricostruzione della devastazione interna del paziente!
Giacoma Cultrera
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