Il disturbo schizofrenico parte I

Un ostacolo che eminenti studiosi tra 1800 e 1900 hanno incontrato quando si sono trovati di fronte ad una sintomatologia schizofrenica conclamata è sempre stato quello di dare un’univoca accezione alla sindrome innanzi alla quale si trovavano.

Solo in un contesto recente di crescente consapevolezza della scarsa affidabilità delle diagnosi basate sulla valutazione clinica di routine si è imposta nella ricerca la volontà di definire dei criteri diagnostici semplici da individuare nelle valutazioni cliniche. L’American Psychiatric Association ha dato un grosso contributo in questi contenziosi diagnostici con la pubblicazione periodica dei vari DSM a cui prendono parte studiosi che provengono da tutto il mondo. La concordanza tra i diversi criteri per quanto statisticamente significativa è lontana dall’essere perfetta, per cui i gruppi che vengono individuati sono parzialmente coincidenti.

Ci troviamo innanzi ad una patologia complessa e multietiologica, per cui un approccio adeguato deve essere basato su un modello ampio, che prenda in considerazione non solo le interazioni tra i fattori biologici, psicologici, sociali, e culturali che influenzano la predisposizione di un individuo alla psicopatologia, ma anche l’interazione continua tra l’individuo vulnerabile e l’ambiente. La vulnerabilità non può essere considerata come una condizione statica e immodificabile, ma anzi muta continuamente nel corso della vita di una persona.

Secondo Brody (1981) la vulnerabilità delle persone è il risultato di interscambi tra individuo e ambiente non solo nel corso dell’intera vita, ma soprattutto in rapporto a ciò che avviene nell’ infanzia fino all’adolescenza. In genere le interazioni significative si verificano molto tempo prima della manifestazione della malattia. Tra questi fattori c’è sicuramente il rapporto di accudimento e di attaccamento che il paziente ha avuto con i genitori durante l’infanzia, la fanciullezza fino all’adolescenza- giovinezza.

Cominciamo ad analizzare alcune alterazioni del pensiero logico-formale.

Il termine cognizione comprende: gli eventi cognitivi, i processi cognitivi e le strutture cognitive. Gli eventi cognitivi sono rappresentati da pensieri, immagini, fantasticherie e sogni. Assumono grande importanza i “pensieri automatici”, perché si verificano appunto automaticamente e involontariamente oltre che essere ripetitivi. Il paziente non fa niente per provocarli e sono, purtroppo, difficili da spegnere; a ciò possono aggiungersi sempre in modo automatico anche fantasie disfunzionali. Va precisato che tutti i pensieri automatici avvengono al di fuori della consapevolezza del paziente e, quindi, sono per lo più inconsci.

Queste distorsioni possono essere collegate alla percezione effettiva di una determinata situazione o a una successiva valutazione dell’evento; cioè a una valutazione distorta dell’informazione. Gli errori cognitivi più comuni sono i seguenti:

  1. L’astrazione selettiva, che consiste nella tendenza a estrapolare un particolare da una situazione molto più ampia, al fine di ottenere una peculiare comprensione della situazione nel suo insieme.
  2. La deduzione arbitraria, che è una condizione di pensiero erroneo coinvolto nel trarre conclusioni specifiche su una certa situazione senza il minimo elemento a sostegno.
  3. La generalizzazione eccessiva, che comporta il trarre conclusioni generali da eventi isolati o la loro estensione a situazioni o eventi del tutto non collegati.
  4. La magnificazione e l’esagerazione, che implicano la valutazione gravemente errata dell’importanza o della portata di un evento o di una situazione apparentemente banale.
  5. Il pensiero dicotomico o polarizzato, in forza del quale tutte le esperienze importanti per il soggetto son trattate in termini di “o” bianco o nero senza sfumature.
  6. La lettura del pensiero, cioè il comportamento secondo quella che si ritiene essere l’opinione altrui.
  7. La personalizzazione, ovvero la sopravvalutazione di quanto un particolare evento sia riferito a sé stessi. La forma più estrema di questa personalizzazione sono le idee deliranti di riferimento e di persecuzione.

Queste cognizioni disfunzionali vanno precisate, però, che non prerogativa solo dei disordini schizofrenici. La schizofrenia è caratterizzata da una grande varietà di sintomi, nessuno dei quali può tuttavia essere considerato come “patognomonico” né specifico della malattia. Alcuni sintomi considerati come caratteristici possono essere del tutto assenti durante tutto il suo decorso mentre altri apparentemente meno significativi possono essere invasivi e dominanti condizionando il giudizio diagnostico. Per questa ragione la diagnosi di schizofrenia viene fatta non soltanto sulla base della valutazione trasversale nel momento dell’osservazione ma anche sulla base della variabile temporale.

Una delle caratteristiche tipiche della schizofrenia è quella di essere un disturbo ad inizio nel periodo adolescenziale o nella prima giovinezza. Caso tipico è quello dell’adolescente che comincia a presentare difficoltà di inserimento e di integrazione nel gruppo dei coetanei, problemi di rendimento scolastico, comportamenti oppositivi nei confronti dei genitori, difficoltà di rapporto con l’altro sesso e a volte gravi bizzarrie comportamentali.

Nella maggior parte dei casi la schizofrenia inizia con una serie di segni che sono indice di un cambiamento che sta avvenendo nella persona. In genere si manifestano dopo un evento stressante ben identificabile. Non si tratta di eventi eccezionali, ma piuttosto di normali eventi (esami, servizio militare, separazioni o perdite) vissuti dal paziente in modo particolarmente stressante. Il cambiamento rispetto allo stato di funzionamento precedente può essere rapido o subdolo. Uno dei più importanti sintomi prodromici è il ritiro e l’isolamento sociale. Un’altra manifestazione caratteristica è la riduzione delle capacità di mettere in atto un comportamento finalizzato. Questi primi segni si accompagnano a modificazioni del pensiero che, senza ancora presentare alterazioni formali vere e proprie, esprimono già un allontanamento dagli schemi normali di funzionamento precedenti. Il quadro prodromico ha nella maggior parte delle volte un andamento peggiorativo, di cui parleremo nell’articolo successivo.

                                            Giacoma Cultrera

  L’immagine di copertina è stata tratta da unsplash.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *