Il disturbo post-traumatico da stress acuto e cronico
Il disturbo post-traumatico da stress insorge in seguito all’esposizione ad eventi stressanti estremi che comportano una minaccia per la vita o per il mantenimento dell’integrità fisica della propria persona e di altri soggetti.
I sintomi sono consistenti e numerosi: è presente angoscia, paura, incubi con sogni terrificanti, la tendenza a rivivere il trauma con un persistente stato di ipervigilanza e compromissione della capacità lavorativa. Ne distinguiamo 3 diverse forme: la prima fa seguito al disturbo acuto da stress e insorge immediatamente dopo il trauma e ha una durata che va da 1 a 3 mesi; il secondo tipo è già di tipo cronico e la durata supera abbondantemente i 3 mesi; il terzo tipo, invece, ha un’insorgenza tardiva nell’ordine di mesi o anni dopo l’avvenuto trauma. A volte sono coinvolte intere comunità, quando, ad esempio, si verificano catastrofi naturali come eruzioni vulcaniche, terremoti molto gravi, alluvioni, disastri aerei, attentati, prigionie, torture, sequestri di persona, abuso sessuale infantile e tanti altri della gravità descritta.
La caratteristica clinica comune a questi disturbi post-traumatici è rappresentata dal fatto che i soggetti mostrano nelle varie forme una situazione di shock. In questi quadri clinici il danno psichico si traduce anche in alterazioni biologiche che persistono a distanza di anni. Da molti studi condotti si è evinto che sia nel disturbo post-traumatico da stress acuto che cronico un’importanza rilevante è rivestita dalla pericolosità dell’evento che mette a rischio l’incolumità fisica del soggetto.
Il quadro clinico è dominato da tre gruppi principali di sintomi:
- La persistente ri-esperienza dell’evento traumatico;
- Il continuo evitamento di stimoli o cose che lo ricordano ed un forte intorpidimento emozionale;
- Uno stato di iperattivazione persistente.
Il primo raggruppamento di sintomi è legato alla continua ri-esperienza del trauma a livello mentale e questo determina uno stato di sofferenza perpetua dovuta al ricordo dell’evento attraverso immagini, pensieri, percezioni e incubi notturni. Un altro sintomo piuttosto comune è rappresentato dall’agire o sentire le emozioni come se il trauma si stesse ripetendo. In tal modo si scatena un malessere psichico facilmente indotto da stimoli che ricordano o simbolizzano il trauma, con flashback, illusioni o stati dissociativi. Il quadro patognomonico è accompagnato da una intensa reattività psicofisiologica innanzi a tutto ciò che può minimamente ricordare l’evento.
L’evitamento e l’intorpidimento emozionale sono sempre legati al tentativo estremo e continuo di evitare tutti quegli stimoli che ricordano la situazione traumatica. Il paziente in queste condizioni può anche rifiutare l’aiuto psicologico così come può evitare di incontrare altri soggetti che hanno avuto traumi similari o che provengono dalla medesima catastrofe.
Il numbing, cioè la paralisi emotiva ed affettiva con un senso di distacco ed estraniamento dagli altri, con la diminuzione dell’interesse per il mondo e per le proprie attività, con l’incapacità di provare emozioni affettive e coinvolgimenti intimi come prima, spesso denunciano la scomparsa, a livello psichico, della progettualità riferita al futuro; di conseguenza, questi soggetti non vedono più la prospettiva di una lunga vita, di un matrimonio, di figli o di una carriera lavorativa.
L’iperattivazione è un sintomo determinato da un’esaltazione della reattività neurovegetativa, per cui il paziente vive trasalimenti continui innanzi a stimoli del tutto innocui. Mostrano anche difficoltà di addormentamento e di concentrazione. Tra i disturbi somatici minori riscontriamo perdite di memoria, vertigini e cefalea.
In generale, la persistenza dei sintomi a distanza di 3 mesi dall’evento è considerato un fattore clinico valido che depone per la cronicità. L’osservazione dei casi clinici ha fatto rilevare che alcuni diminuiscono l’intensità sintomatica nel tempo, mentre altri risultano stabili o possono addirittura peggiorare in assenza di trattamento.
In seguito all’osservazione del decorso di tali pazienti si ritiene che sia importante considerare per il progressivo miglioramento il tipo di trauma subito; infatti, i soggetti che provengono da disastri che riguardano le comunità (terrorismo, incidenti nucleari…) tendono a mostrare un decremento dei sintomi nel tempo. Invece, gravi violenze individuali (stupri, rapine con violenza fisica…) fanno registrare una diminuzione dei sintomi molto lentamente e alcuni di questi possono persistere per tutta l’esistenza. Altro fattore a cui è stato dato notevole credito per il decorso clinico è la fase del ciclo di vita, in cui il soggetto si trova quando esperisce l’evento traumatico: i bambini per quanto coinvolti in eventi catastrofici hanno mostrato una maggiore capacità di ripresa e superamento del fattore stressante, al contrario una donna tra l’adolescenza e la prima giovinezza senza esperienza sessuale se subisce una violenza di questo tipo con marcati danni fisici ha elevate probabilità di avere gravi conseguenze affettive con compromissione della sua vita relazionale.
Le complicanze più comuni di questi stati psichici sono rappresentate dalle comorbidità con il disturbo di somatizzazione, il disturbo di attacco di panico, la schizofrenia, l’abuso di sostanze, la depressione maggiore, il disturbo ossessivo, la distiminia.
Il disturbo post-traumatico da stress con sintomatologia conclamata è uno dei più gravi dal punto di vista psicologico e può avere una durata che varia da poche decadi a tutta la vita. La prognosi è variabile e dipende molto dall’impatto dell’evento, dal vissuto del soggetto, da preesistenti disturbi, dal tempo di insorgenza, da un trattamento efficace oltre che dal supporto sociale di cui gode il soggetto.
La terapia farmacologica ha una valenza molto importante data la gravità dei sintomi che i soggetti presentano. All’inizio i farmaci sono di tipo ansiolitico-sedativo, dopo in base alla sintomatologia possono essere necessari neurolettici e antidepressivi.
Tra le psicoterapie quella che maggiormente si è confrontata con la cura di questo disturbo è la psicoterapia cognitivo-comportamentale che effettua un lavoro cognitivo sugli schemi del Sé con un incremento progressivo della percezione del controllo e di riduzione della reattività psichica e somatica. Vengono usate tecniche di biofeedback, desensibilizazione sistematica, di visualizzazione cognitiva con addestramento all’abbassamento delle reattività psicofisiologiche. Solo in un secondo momento è possibile procedere verso livelli più profondi dell’Io con integrazione nel patrimonio degli schemi emozionali di conoscenza di un evento nocivo e la sua successiva storicizzazione. La capacità cognitiva del soggetto di slittare verso livelli conoscitivi più integrati e complessi di coscienza rappresenta un elemento fondamentale in psicoterapia per il miglioramento del quadro clinico del paziente.
Giacoma Cultrera
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