Il problema degli stati misti

Il concetto di disforia è abbastanza frequentemente utilizzato nella letteratura psicopatologica. Esso, infatti, include due aree di significato.

  1. Un sentimento spiacevole, a tonalità negativa, spesso definito come malumore, ma connotato anche da tonalità depressive, ansiose, di tensione, scontentezza e pessimismo.
  2. L’irritabilità, cioè la tendenza a reagire in modo esagerato agli stimoli esterni (ambientali) ed interni (sensazioni somatiche, emozioni) con scarsa capacità di autocontrollo che può tradursi in aggressività, ira e rabbia.

Secondo molti studiosi la disforia rappresenterebbe un terzo polo affettivo, accanto alla depressione e alla mania, e potrebbe combinandosi con loro rappresentare un terzo stato misto.

A livello psicopatologico, caratteristica è la concomitanza o il rapido avvicendamento di sintomi contropolari; per cui troviamo umore triste e idee di grandezza, tematiche depressive e iperattività motoria, euforia e/o fuga di idee e inibizione psicomotoria, riso e pianto. L’umore in queste vicende interiori tende a caratterizzarsi come disforico, perché c’è ansia, agitazione, grave insonnia, impulsività e in concomitanza si riscontrano tematiche depressive, disinibizione, tentativi di suicidio. Ci possono essere manifestazioni psicotiche, deliranti e allucinatorie, a contenuto persecutorio e ipocondriaco. Si può arrivare, anche, a stati confusionali con “stupore”.

Gli stati misti a decorso protratto presentano uno spettro di gravità molto ampio: vanno da forme psicotiche con manifestazioni incongrue fino a forme attenuate, che possono essere confuse con disturbi nevrotici e di personalità.

Gli stati misti psicotici sono quadri clinici a sintomatologia polimorfa con una ricca componente affettiva, ma con manifestazioni psicotiche di vario tipo: deliri, allucinazioni, incoerenza ideativa, stati catatonici e confusionali. L’instabilità affettiva alimenta l’indecisione, la sospettosità, l’influenzamento e le manifestazioni psicotiche.

Negli stati misti attenuati non compaiono esperienze psicotiche. Si tratta di condizioni cliniche che non arrivano frequentemente all’osservazione del medico, perché probabilmente si tratta di stati subpatologici comuni nelle forme bipolari, quando non sono slatentizzate. È presente una instabilità del tono dell’umore, che crea la base ideale per una condotta relazionale incostante (sono spesso presenti gesti autolesivi, esplosività, abuso di sostanze…) tanto che spesso presentano anche una diagnosi di disturbo di personalità borderline o antisociale o ancora istrionica sul II Asse. Quasi costante è la presenza di gravi stati d’ansia e di irritabilità. La difficoltà diagnostica negli stati misti è legata alla tendenza abituale da parte del clinico di cercare di interpretare la condizione del paziente come un filum coerente e comprensibile, piuttosto che come una combinazione di alterazioni psicologicamente inderivabili.

L’interpretazione degli stati misti appare come un terreno di frontiera tra psicopatologia tradizionale e i modelli esplicativi psicobiologici.

Il clinico può utilizzare, come indicatori guida di gravità dei vari sintomi dei disturbi affettivi, i seguenti criteri quantitativi.

  1. La pervasività (ad es. l’umore triste che occupa solo brevi momenti o gran parte della giornata).
  2. Il grado di compromissione funzionale (ad es. inibizione tale da bloccare o meno le comuni attività quotidiane).
  3. Il grado di reattività (ad es. tristezza ed apatia che possono o meno, sia pure temporaneamente, essere distolte da circostanze esterne; capacità o meno di sorridere a spunti umoristici).
  4. Il grado di consapevolezza (ad es. coscienza della propria alterazione cognitiva “Quando sono in questo stato vedo tutto nero” oppure “Il mondo va in rovina”).

Nella valutazione dei sintomi meritano attenzione anche gli aspetti qualitativi che, se omessi, possono essere fonte di errore nella valutazione nosografica.

La depressione va distinta dall’appiattimento affettivo degli schizofrenici.

L’apatia si ritrova anche nelle personalità psicopatiche.

L’umore instabile è frequente in tutti i disturbi affettivi.

L’astenia depressiva deve essere distinta da quella su base organica.

L’inibizione ideativa può simulare un quadro demenziale per la compromissione cognitiva.

L’arresto psicomotorio e lo stupore di alcune forme depressive molto gravi devono essere differenziati da forme organiche base.

L’euforia maniacale può essere confusa con alcune forme presenti in patologie organiche.

La fuga delle idee può essere confusa con la dissociazione ideativa degli schizofrenici.

Si tratta di disturbi complessi che richiedono cure adeguate al fine di raggiungere un buon risultato terapeutico, che non comporti la inabilità del soggetto, bensì il suo progressivo miglioramento con reinserimento nel mondo del lavoro e nella riacquisizione di un ruolo all’interno del nucleo sociale in cui vive. Da quanto esposto sopra comprendiamo come ad un adeguato e puntuale inquadramento nosografico, che rende possibile l’intervento d’urgenza sul paziente, deve fare seguito una adeguata psicoterapia, la quale, aiutando il soggetto a decodificare in modo coerente le esperienze emozionali che andranno a supportare i nuovi quadri concettuali che si strutturano, aiuta la stabilizzazione del soggetto. Necessario è anche intervenire sul nucleo familiare e guidarli a che si crei un clima di fiducia e armonia per il benessere del soggetto, ma è anche importante che sviluppino anch’essi la consapevolezza della sofferenza patita dal paziente e dei progressi che man mano riesce a compiere.

                                          Giacoma Cultrera

L’immagine di copertina è stata tratta da unsplash.

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