Dal mondo del linguaggio orale alla scrittura

Il linguaggio abbiamo visto che emerge con l’homo sapiens sapiens tra i 50 e i 40.000 anni fa. Questo è un dato di notevole importanza, perché ci fa comprendere come esso non rappresenta un salto evolutivo apparso dal nulla, bensì ha richiesto una lunghissima fase di elaborazione. Si tratta di un elemento evolutivo fortemente avanzato; infatti, essendo la prima vocalizzazione orientata, il vocal grooming, comparsa nell’homo erectus, ha richiesto un periodo di evoluzione di 2 milioni e mezzo di anni prima di entrare in scena.

La maggior parte dei paleontologi contemporanei ritiene che l’homo di Neanderthal fosse in grado di parlare anche se non come il sapiens, perché sicuramente non conosceva le vocali o almeno due di queste. Si sa che Sapiens e Neanderthal sono vissuti nello stesso periodo, eppure il secondo dei due si è estinto non a causa del primo, bensì per una scarsa adattabilità all’ambiente.

Il linguaggio vive in una dimensione prevalentemente visiva. Il mondo orale presenta esigenze molto diverse da quello della scrittura: in esso, infatti, è centrale il problema della “memoria” ovvero di come ricordare ciò che è stato tramandato solo oralmente.

La problematica nel corso dell’evoluzione è stata rappresentata dall’immagazzinamento dell’informazione e la soluzione gradualmente trovata fu quella di usare il ritmo come struttura di base della memoria orale. Questa, infatti, è una memoria di ripetizione, ritualizzazione e tutto è affidato solo al dato sonoro; nelle espressioni più arcaiche è proprio per ricordare e non dimenticare che furono inventati la musica, i canti, le canzoni. In tal modo la ripetizione non viene assicurata dai nessi logici, ma da quelli ritmici.

La memoria orale è tutta analogica, di conseguenza non segue mai nessi logici. Poiché ogni cosa è espressa nel sonoro tutte le assonanze sono ritmiche di suono o assonanze ritmiche di somiglianza di parole.

La narrativa del mondo orale è fondamentalmente epica con norme, regole, verbi d’azione, che cantano gesta di eroi. Nel mondo orale il “senso del sé” è semplicemente l’appartenenza al gruppo. Allora il linguaggio ancora privo della scrittura non poteva visualizzare, per cui non era in grado di realizzare una delle operazioni più tipiche della nostra coscienza, cioè concettualizzare e memorizzare in termini di concetti. Non era possibile parlare di giustizia, onestà, bensì si potevano solo raccontare gesti e azioni che descrivevano questi concetti, ma non astrarre dal racconto pensieri più generali. Tutto doveva essere sempre azione!

Nell’oralità non esiste una sequenza temporale degli avvenimenti narrativi. Non c’è un ordine cronologico. Non si evince il senso della storia, della cronaca, di una sequenza ordinata di fatti in senso temporale e logico. Naturalmente la sequenzializzazione del linguaggio di oggi, in cui è presente la scrittura non ha nulla a che fare con il mondo orale di allora. Nella trasmissione orale esisteva una difficoltà di integrazione fra i diversi tipi di ordine sequenziale: la configurazione dell’esperienza avveniva, secondo gli schemi mentali strutturati, per successione casuale, di conseguenza era ancora esistente una difficoltà a distinguere l’interno dall’esterno.

L’Iliade è una delle prime trascrizioni di una serie di racconti trasmessi solo oralmente. Gli eroi (Jaynes,1976) vivono in una sequenza cronologica, dove le immagini che vedono agiscono al di fuori di loro: gli dei con le loro azioni e caratteristiche non erano altro che l’espressione del mondo interno degli eroi e delle popolazioni protagoniste del racconto epico, secondo l’interpretazione di Vittorio Guidano.

Con la visualizzazione dei suoni attraverso i simboli che li riproducevano il linguaggio per la prima volta diventa accessibile alla dimensione visiva. La scrittura è stata scoperta molto tardi, se pensiamo che il linguaggio ha fatto la sua comparsa 50.000 anni fa, mentre la scrittura viene dall’uomo elaborata e applicata all’incirca 4000 anni fa.

Nella scrittura dei Sumeri i segni cuneiformi rappresentavano le cose del mondo. È ancora aperta una diatriba se sia nata prima la scrittura cuneiforme dei Sumeri o quella geroglifica degli egiziani. L’ipotesi più accreditata sostiene che “il cuneiforme e il geroglifico egiziano, si siano sviluppati indipendentemente e in modo autonomo nelle rispettive aree geografiche” (Lombardi, 2016). La scrittura, infatti, rappresenta un processo lento e continuo che si è evoluto parallelamente allo sviluppo socioeconomico delle società. Compare verso il 3000 a.C. in Egitto e in Asia e nel 1788 d.C. in Australia.

L’andamento di questo processo evolutivo è documentato in modo più solido nella Bassa Mesopotamia, in quella che veniva indicata come la “mezza luna fertile”, grazie all’uso delle tavolette di argilla per scrivere. In Egitto il papiro si rivelò essere certamente un materiale più deperibile. Alla fine del IV millennio la scrittura cuneiforme si originò in Mesopotamia, nel paese di Sumer e più in particolare nella città di Urur. Dove la sua nascita fu essenzialmente legata a esigenze pratiche di contabilità: cominciava ad esserci un’eccedenza di merci che dovevano essere scambiate e la nascita di città impose la necessità dell’organizzazione dei ruoli, della divisione del lavoro e della conta degli abitanti. Sempre in Mesopotamia nell’8000 a.C. venivano usati i cosiddetti tokens come elementi di calcolo. Ad esempio, una giara d’olio era rappresentata da un simbolo ovoide, due giare ne avevano due e così via. A un certo punto i tokens diventarono più complessi e si legarono ad una marcatura esterna per diventare dopo dei gettoni legati tra loro da una cordicella, fino ad essere inseriti in dei contenitori cavi, le cretule, che ne contenevano molti. Successivamente uno stilo appuntito riproduceva il profilo del gettone, fino a quando a un certo punto la cretula diventò un cuscinetto appiattito e questo passaggio da un oggetto tridimensionale ad uno bidimensionale rappresentò un evento dalle conseguenze inimmaginabili.

La nascita della scrittura, infatti, cominciò con la riproduzione sempre più astratta di oggetti o situazioni del mondo reale, che vengono prima rappresentati iconograficamente, con i pittogrammi, mentre dopo la rappresentazione diventa sempre più schematica con gli ideogrammi. Sono questi ultimi che tendono a rappresentare concetti affini e in relazione tra loro. Come giustamente sostiene Lombardi né la scrittura cuneiforme né quella egizia con i geroglifici al massimo della loro complessificazione arrivarono mai ad una rappresentazione completamente fonetica delle parole.

Havelock e Ong (1986) sottolineano come lo slittamento evolutivo definitivo avvenne, quando fu inventato “un sistema codificato di marcatori visivi…”. Questa risposta la diedero i Greci con l’invenzione dell’alfabeto, un sistema integrato di consonanti e di vocali. In quello fenicio le vocali erano assenti. L’alfabeto dei Greci, invece, analizzava il suono in maniera più astratta, era un alfabeto totalmente fonetico che favoriva l’attività dell’emisfero sinistro, alimentando così il pensiero astratto analitico.

È con la dimensione scritturale che inizia il cambiamento tra il modo di sentire e quello di spiegare, cioè il mondo del pensiero.

Cambia il modo di come cominciamo a mettere l’esperienza in sequenze!

La scrittura influenza la capacità di sequenzializzazione che il linguaggio orale già aveva.

È così che la pressione del processo evolutivo si concretizza con i Greci nella codificazione dell’alfabeto, che rappresenta un evento di portata rivoluzionaria, poiché permette per la prima volta connessioni intermodali (cross modal matching) fra diverse modalità sensoriali (Pejovic e Molnar, 2017; Ozturk et al., 2013; Gopnik e Melzoff, 1994).

Questo avviene, perché secondo studiosi come Guidano (2019) quando qualcosa come il linguaggio arriva ad un certo livello di complessità, è necessario che emerga un altro strumento per ordinarlo. È fondamentale che si abbiano delle connessioni tra il suono e le altre dimensioni sensoriali, affinchè diventi uno strumento di classificazione e la complessità non venga perduta. Ciò si ottiene attraverso l’intreccio di differenti modalità sensoriali, per esempio sonora e visiva.

L’alfabetizzazione mette in gioco la funzione di analizzatore sensoriale altamente spazializzante dell’occhio, che va a sostituire l’orecchio.

Il cambiamento cruciale è che il suono comincia ad essere visualizzato! Appena si visualizza il linguaggio, anche la memoria muta completamente: non è più la memoria del ritmo, delle sequenze, delle canzoni, bensì diventa logica, quasi fotografica, che risparmia grandi quantità di energia per il cervello umano.        

                                              Giacoma Cultrera

L’immagine di copertina è stata tratta da unsplash.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *